In questo periodo di emergenza, in cui la maggior parte dell’attenzione pubblica è rivolta verso la diffusione del corona virus e le sue conseguenze (per approfondire questo tema, qui il link alla nostra riflessione sulla visibilità), alcuni gruppi pro-vita hanno approfittato delle circostanze per mandare avanti un’agenda politica fortemente contraria alle disposizioni per interruzione volontaria di gravidanza. In Italia abbiamo assistito alla proposta da parte del gruppo ProVita e famiglia di sospendere le operazioni abortive avvenuta tramite petizione online circa tre settimane fa. Inoltre, molteplic* attivist* hanno sottolineato come, specialmente in Lombardia, sia difficile oggi accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza a causa del dirottamento di tutte le energie medico-ospedaliere verso il trattamento di pazienti con COVID-19. Negli Stati Uniti, in particolare in Ohio e Texas sono state recentemente avanzate proposte simili. In Polonia, dove le leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza sono già incredibilmente proibitive, tali proposte hanno raggiunto gli istituti governativi, comportando una votazione in proposito da parte del parlamento polacco che per ora ha rimandato la decisione in commissione.
Oltre ad essere di base una proposta molto rischiosa per tutte le persone con uteri, il fatto che venga portata avanti in questo momento comporta tutta una serie di problematiche ulteriori. Non a caso è frequente che durante periodi di crisi o emergenza le prime strette dei sistemi di potere alla guida degli stati-nazione siano nei confronti dei diritti delle identità marginalizzate.
A proposito di questa situazione, vogliamo contribuire alla discussione con un’opera d’arte dell’artista Marilyn Minter. In risposta alle leggi sull’aborto recentemente passate in Alabama, Marilyn Minter insieme a Jasmine Wahi, direttrice della nonprofit Project for Empty Space hanno organizzato una mostra intitolata Abortion is Normal includendo artist* molto divers* tra loro per provenienza socio-culturale. I fondi ricavati dalla vendita delle opere esposte in mostra saranno donati a Downtown for Democracy per finanziare l’educazione degli elettori sui diritti riproduttivi e a Planned Parenthood.
L’opera di cui vi parliamo è stata creata da Minter proprio in occasione della mostra, e si intitola Cuntrol. Si tratta di una stampa organizzata come un trittico, che raffigura un vetro appannato dal calore dietro al quale si intravede una figura femminile che gioca con la sensualità di questo “vedo-non-vedo”. L’inserimento di elementi quali la nudità, i peli pubici, la lingua, il vapore e lo sguardo audace danno all’intera immagine un significato fortemente sessualizzato, ma rimangono due pesanti barriere a separare chi guarda dalla protagonista, sia il vetro simbolico sia la tela, rendendol* un* intrus* rispetto all’intera scena e restituendo il controllo alla figura rappresentata. Inoltre, siamo capaci di guardare oltre il vetro solo attraverso le linee tracciate nella condensa dal dito dell’artista, restituendole il potere di decidere cosa far vedere e cosa no, ma dando l’illusione che sia chi guarda a deciderlo. Questo ricalca un po’ in senso lato le politiche sull’interruzione volontaria di gravidanza, per le quali persone senza uteri sono convinte di avere il controllo su altri corpi, non rendendosi conto che si tratta solo di un’illusione (il controllo appartiene solo a chi possiede il corpo in questione).
Il titolo dell’opera si riferisce proprio a una ripresa del controllo sul corpo da parte dell’artista, ma aggiunge anche una riappropriazione di un termine generalmente inteso in modo denigratorio: “cunt” è considerata una delle parole più offensive della lingua inglese ed è spesso usata nei confronti delle donne proprio per insultarne una sessualità consapevole. L’artista dunque sottrae la parola allo sguardo patriarcale, rivendicandola come strumento di controllo di sé e della sua sessualità, ribadendo ancora una volta completa autonomia e responsabilità del suo corpo, trasformando il personale in politico e il politico in personale, come il femminismo da sempre ci insegna.
