Giovanni Anselmo è uno degli artisti più importanti del gruppo dell’Arte Povera, teorizzata e rappresentata da Germano Celant. Le idee alla base dell’Arte Povera rispecchiano un ritorno alla natura come elemento essenziale e privo di sovrastrutture – ma non per questo meno comunicativo – e una ricerca della migliore rappresentazione dell’entropia, intesa come tendenza inarrestabile dell’universo e di tutte le cose al caos.
Abbiamo scelto un’opera specifica per parlare del tema di questa settimana, l’anoressia. L’opera non ha titolo, ma è soprannominata Struttura che mangia: in qualche modo il fatto che non abbia titolo la rende ancora più carica di universalità e di livelli di interpretazione. L’artista non ha mai collegato quest’opera al tema dei disturbi alimentari, ma ci sembrava interessante usare quest’opera e le riflessioni che le stanno dietro per approfondire un discorso tanto delicato come quello dell’anoressia.
L’opera è costituita da una lastra di granito e un pilastro dello stesso materiale tenuti insieme da un filo di rame. Tra le due parti è incastrato un cespo di insalata, che però col passare dei giorni deperisce perdendo gran parte del suo volume, provocando la caduta della lastra: l’insalata, dunque, deve essere sostituita regolarmente, per mantenere l’opera integra.
Il fatto che anche un’opera d’arte abbia bisogno di costante cura per rimanere “viva” in qualche modo ci insegna il valore del prendersi cura di sé e degli altr*. Ovviamente, nel caso dei disturbi alimentari, non è semplice convincersi del valore della cura compassionevole, preoccupat* come si è dalla necessità di controllo e d’indipendenza. E’ importante, in relazione a questi due aspetti spesso legati ai disturbi alimentari, provare a pensare invece alla nostra dipendenza reciproca come condizione di esseri umani, allontanandoci anche politicamente da un’idea di indipendenza e individualità completamente tossica e legata ad un sistema capitalista.
Il controllo è il bisogno primario di chi soffre di disturbi alimentari ed esso è sicuramente un derivato delle pressioni che la società in cui siamo immers* ci impone ogni giorno. Anche in questi termini l’Arte Povera ci può insegnare qualcosa.
È utile ricordare che esiste sempre la possibilità di tornare a riflettere sulla più profonda essenza delle cose, sul loro valore più semplice, liberandoci delle sovrastrutture a cui siamo così abituat*. In un certo senso anche quest’opera in particolare comunica la necessità di perdere il controllo a volte, affidandosi ad altr* o semplicemente allo scorrere delle cose.
Il fatto che l’interesse nei confronti dell’entropia fosse centrale per gli artisti dell’Arte Povera è anche testimonianza dell’innata volontà dell’essere umano di controllare il disordine dell’universo e della vita, ma a volte bisogna forse solo accettare che il caos e la sua imprevedibilità sono ciò che rende ogni giorno degno di essere vissuto.