“Not all cops” / “All lives matter” / “I don’t see colors, people are people”
Abbiamo sentito la necessità di aggiungere una parte alla riflessione sulla responsabilità (trovate qui la prima parte), riguardo alle recenti vicende che hanno visto la morte di George Floyd per mano di quattro poliziotti a Minneapolis (USA).
Nel contesto delle proteste contro la violenza della polizia, il razzismo sistemico e istituzionalizzato degli Stati Uniti (e dell’Europa) e la scarsa preoccupazione degli organi politici su questo tema, si sono sentite dire spesso frasi come “Ma ci sono anche poliziotti che sono brave persone” o “Tutte le vite contano” in risposta agli slogan #blacklivesmatter o #acab (“All Cops Are Bastards”, ossia “Tutti i poliziotti sono bastardi”).
Questo tipo di risposte sono decisamente problematiche, pur essendo, a livello filosofico etico-morale, affermazioni condivisibili: è vero che tutte le vite contano ed è statisticamente possibile che alcuni poliziotti siano delle persone giuste e buone. In questo contesto, però, risultano estremamente fuori luogo e distolgono l’attenzione dai problemi reali e gravissimi che si stanno affrontando.
Quando si protesta per #blacklivesmatter, nessuno sostiene che le persone bianche possano invece essere uccise tranquillamente e senza conseguenze, ma si sta sottolineando che le vite delle persone nere importano meno di quelle delle persone bianche a livello culturale, politico e giuridico. Le rivendicazioni per categoria identitaria vanno a sottolineare il fatto che, finchè anche queste vite che sono costantemente oppresse non saranno rispettate tanto quanto le altre, la lotta sarà per favorire queste individualità in particolare e non tutte le individualità in generale.
Nessuno, vedendo dei pompieri intenti a lavorare su una casa in fiamme, penserebbe di dire “Ma anche casa mia è importante”. La stessa cosa vale anche in questo contesto.
Nella realtà attuale, inoltre, è falso affermare che tutte le vite contano allo stesso modo: da qualsiasi punto di vista, la mia vita di persona bianca, benestante, cisgender e con mille altri privilegi vale di più di quella di una persona meno privilegiata di me, semplicemente perché in una società capitalista il mio potere economico, consumistico e di acquisto è sicuramente maggiore di quello di altre persone, rendendo la mia esistenza di maggior valore.
Qualcun* ha addirittura affermato che “blue lives matter” (anche le vite dei poliziotti contano): dopo il discorso precedente, forse è ridondante spiegare perché questa frase sia, se possibile, ancora peggiore delle altre. L’agente di polizia è una professione che viene scelta consapevolmente, sicuramente più rischiosa di altre, ma rimane una professione. Alla fine della sua giornata lavorativa, un* poliziott* può togliersi la divisa; una persona nera non ha scelta di come naviga gli ambienti pubblici e di come viene percepita e trattata per via del colore della sua pelle.
Il problema principale, il cosiddetto nocciolo della questione, è che da persone bianche tendiamo spesso a distogliere l’attenzione da problemi altrui per riportarla su di noi, mettendoci sempre al centro del discorso perché – e qui sta il punto – non siamo abituat* a non essere le/i referenti principali di ogni cosa. Torniamo qui al concetto di fragilità bianca, nozione per cui le persone bianche si sentono facilmente attaccate o colpevolizzate qualora si parli di razza e di razzismo e tendono a reagire automaticamente in modo difensivo. Esiste una paura atavica delle persone bianche di una sorta di cancellazione etnica, un’immaginaria invasione da parte di persone nere nei confronti di popolazioni e tradizioni bianche, paura che cela dietro se stessa un’incredibile tensione fra l’assoluta dominanza culturale e politica della pelle bianca e delle persone bianche (che dunque rappresenta un qualcosa di forte e indistruttibile) e, in una maniera quasi antitetica, la porosità, la fragilità estrema della nostra “bianchezza” che va protetta in ogni circostanza dalla contaminazione, dalla sopraffazione. In particolare, in relazione a questa dinamica, pensiamo al mito dell’uomo nero stupratore (Franz Fanon ne ha scritto a bizzeffe) e alla debole e vulnerabile donna bianca, metafore culturali che ci portiamo appresso ancora oggi e che pervadono le nostre immaginazioni.
Quante volte abbiamo stretto un po’ più forte la nostra borsa quando un’uomo nero si è seduto affianco a noi? O quante volte abbiamo cambiato marciapiede perchè un uomo nero camminava nella nostra direzione? Anche questo è razzismo.
Tornando alla fragilità bianca e al culto borghese della “persona per bene”, da essi derivano anche frasi come “Io non vedo colori, le persone sono persone” altro modo per cancellare le discriminazioni e per ignorare volontariamente le realissime differenze di vissuti e sistemiche che invece esistono. Dire questo significa fare finta che la società non sia strutturata intorno a questi bias impliciti e fa sì che non ci sia una spinta a lavorare attivamente contro le discriminazioni. Frasi come questa sembrano positive e partono dalla consapevolezza che le persone siano più del colore della loro pelle e che le nostre individualità complesse non possano essere ridotte ad una singola caratteristica, ma in questo caso si tratta di una semplificazione inaccettabile rispetto alla complessità della situazione reale di oppressione e discriminazione continua.
Come promemoria costante rispetto a ciò che “si può o non si può dire” su questioni che non ci toccano in modo diretto è necessario ribadire (sì, di nuovo) che serve educarsi, ascoltare chi subisce discriminazioni e violenze, camminare accanto a loro e, se serve, amplificare le loro voci. Quando siete in dubbio su cosa dire, ascoltate. E’ anche necessario (questo ci riguarda come collettivo che diffonde questo tipo di materiale) cominciare a normalizzare le discussioni fra persone bianche sul nostro ruolo, sui nostri dubbi, sui nostri rimpianti e sensazioni di vergogna e paura quando si parla di razza e di oppressione. Parlare fra di noi e aiutarci a vicenda a capire come meglio diventare e continuare ad essere anti-razzisti è essenziale per evitare di usare come persone di riferimento per la nostra educazione le stesse persone che vengono sistematicamente oppresse dal sistema di cui noi beneficiamo.