Estragone: Non posso più andare avanti così
Vladimiro: Sono cose che si dicono

Aspettando Godot, Samuel Beckett, 1952

Aspettando Godot è un’opera teatrale del 1949. Scritta dal drammaturgo irlandese Samuel Beckett, è considerata uno dei capostipiti del “teatro dell’assurdo”. Le situazioni incoerenti, le frasi prive di senso, i movimenti stessi degli attori sembrano fatti apposta per far sì che l’insieme risulti privo di logica e, proprio per questo, il testo si presta alle più varie interpretazioni. Tutta l’opera è costruita su uno stato di attesa, di incertezza riguardo al futuro: un buon parallelo con la situazione che viviamo in questo periodo. In particolare, c’è un momento ricorrente che riassume piuttosto bene uno dei rischi che corriamo quando ci troviamo ad affrontare una situazione molto incerta. 

Protagonisti di Aspettando Godot sono Didi e Gogo (diminutivi dei più altisonanti “Vladimiro” e “Estragone”), due uomini che hanno visto tempi migliori e ora si trovano al bordo di una strada per aspettare il Signor Godot, con cui hanno evidentemente un appuntamento. Alla fine di ognuno dei due atti che compongono l’opera, arriva un ragazzo che dice loro che Godot per quel giorno non si farà vedere. Dopo aver valutato senza successo di impiccarsi ad un albero, i due decidono finalmente di andarsene e di tornare ad aspettare Godot il giorno dopo. Il sipario cala senza che nessuno dei due si sia mosso.

Sul perché i due personaggi non si muovano sono stati scritti fior di ipotesi, ma a uno spettatore casuale il motivo per cui questi due non riescano ad andarsene risulta piuttosto chiaro: nonostante il messaggero abbia detto che Godot non arriverà, i due non sono proprio convinti che Godot effettivamente non arriverà. L’importanza che ha per loro l’incontro con il Signor Godot è tale che anche il minimo dubbio che questi possa arrivare è sufficiente a paralizzarli nella condizione in cui si trovano, ovvero quella di una logorante e indefinita attesa

La stessa cosa avviene quotidianamente nella nostra vita e nel nostro cervello. Quando l’incertezza riguarda qualcosa di importante per noi (nel caso di Didi e Gogo, dall’incontro con Godot dipende niente meno che la loro “salvezza”), la scarsità di informazioni su cui possiamo basarci per decidere quale strada prendere, la paura di fare la scelta sbagliata, l’importanza stessa che attribuiamo alla decisione ci rendono spesso incapaci di agire. Lo si vede molto bene quando procrastiniamo: perché scrivere subito questo articolo che, per quanto ne so, potrebbe venire malissimo? Meglio aspettare un altro po’. 

Eppure, tutta la nostra vita è pervasa dall’incertezza: anche nelle nostre giornate più “normali”, non possiamo mai essere certi di cosa accadrà nel momento successivo. “Non c’è niente di sicuro”, ripete Estragone in Aspettando Godot. Per quanto paradossale possa sembrare, l’incertezza è in effetti l’unica certezza che abbiamo. Confrontarci con questa incertezza esistenziale in ogni momento avrebbe però un impatto devastante sulla nostra capacità di agire, per cui, costantemente, il nostro cervello cerca di ridurre l’incertezza nelle cose che facciamo, in particolare formando delle abitudini in risposta alle situazioni che incontriamo più frequentemente. Ad esempio, fare sempre la stessa strada per andare al lavoro, o mangiare più o meno allo stesso orario sono scorciatoie che il cervello prende per ridurre l’incertezza e semplificarci la vita. Uno dei motivi per cui i momenti di crisi ci sembrano così terribilmente incerti (al di là del fatto che rendono palese il fatto che non siamo né invincibili né immortali) è che smantellano tutte le nostre abitudini, costringendoci ad affrontare da capo tutta una serie di situazioni in cui dobbiamo decidere che cosa fare istante per istante, senza avere idea dell’esito delle nostre azioni.  Guardando la situazione di attesa in cui si trovano Didi e Gogo, capiamo che anche il loro aspettare è in realtà un’abitudine: dal testo si intuisce che i due si ritrovano per aspettare Godot ogni giorno, sempre nello stesso posto. La loro condizione di attesa e di incertezza è l’unica costante delle loro giornate. D’altra parte, però, come testimonia l’esistenza stessa di Aspettando Godot, l’incertezza non è solo problematica da gestire: è anche incredibilmente interessante. Aspettando Godot è uno spettacolo su due tizi che aspettano qualcuno che non si sa se arriverà, in cui non succede assolutamente nulla, eppure è considerato uno dei massimi capolavori della drammaturgia moderna. Qualcosa di simile si può dire de Il deserto dei tartari di Buzzati, dell’“essere o non essere” di Amleto, di ogni romanzo giallo che sia mai stato scritto. Chi è l’assassino? Come andrà a finire? Arriverà Godot? Non tolleriamo la nostra incertezza, ma quando l’incertezza è quella di un personaggio letterario o anche solo di qualcun altro, seguiamo col fiato sospeso, immaginando i possibili sviluppi. Il dubbio, insomma, ci attrae; e se quando ce lo troviamo di fronte nella nostra vita rischiamo di rimanerne paralizzati, quando possiamo osservarlo da una certa distanza, ci permette di essere creativi e di immaginare possibilità.

Ora che ci accorgiamo di essere noi stessi equilibristi sul filo, ora che ci troviamo anche noi, in qualche modo, ad “aspettare Godot”, forse può esserci utile prendere un po’ di quella distanza: provare a guardare i nostri dubbi come se fossero quelli di un personaggio e lasciarci liberi di immaginare soluzioni creative. Parafrasando Wislawa Szymborska, in fondo la vita è uno “spettacolo senza prove”: forse questo periodo può essere il momento buono per applicare a noi stessi quell’immaginazione che di solito rivolgiamo solo alle storie degli altri.

Silvia Gualtieri

[Immagine: Sebastian Vogler, Atmospheres for Waiting for Godot – Samuel Beckett, 2000]

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