Buona settimana del Pride a tutt*!
Togliamoci subito un sassolino dalla scarpa: dire “se tu sei orgoglioso di essere gay allora io sono orgoglioso di essere etero” è lesivo e fuorviante a dir poco. Per tutt* coloro che pensano che essere orgoglios* di appartenere alla comunità LGBTQIA+ equivalga ad una perdita di orgoglio e/o diritti per coloro che non ci rientrano, chiariamo qualche punto. Rivendicare l’orgoglio di far par parte di una comunità che viene discriminata, insultata, non rappresentata, e uccisa ogni giorno è un atto di resistenza e di opposizione politica. Essere fier* di appartenere ad una minoranza non significa elevare tale minoranza al di sopra di altre individualità; significa riappropriarsi del diritto di esistere e di amarsi a dispetto di una società che afferma il contrario costantemente in tutti i suoi aspetti. E’ una sorta di radicale self-love. Essere orgoglios* di appartenere alla maggioranza già tutelata non è politicamente rilevante, non porta avanti nessuna battaglia sociale, non difende da nessun attacco esterno (non ci sono attacchi esterni). Ognun* può e dovrebbe essere orgoglios* di se stess*, a prescindere dalle categorie di appartenenza, ma quando viene rivendicato l’orgoglio eterosessuale, bianco, cisgender, maschile si sta facendo una mossa politica dannosissima di rimettersi inevitabilmente al centro della discussione.
A proposito di decentrare le individualità dominanti come gesto politico da parte delle minoranze e come riflessione autocritica, altro sassolino dalla scarpa che ci togliamo: LA A IN LGBTQIA+ NON STA PER ALLY. Possiamo discutere dei significati che ha (Asessuale, Aromantic*, Agender, eccetera), ma di sicuro non comprende gli/le alleat* (si intendono per alleat* le persone che non fanno parte della comunità ma che la sostengono attivamente). Essere attiv* nella difesa dei diritti delle persone LGBTQIA+ e supportarne le cause in generale è il minimo indispensabile per essere considerati esseri umani decenti (cosa volete, gli applausi?). Essere attiv* nella difesa dei diritti LGBTQIA+ non significa togliere spazio e pretendere rappresentazione all’interno della comunità stessa.
Adesso che abbiamo tolto di mezzo le questioni più taglienti, vogliamo riflettere sul collegamento tra l’orgoglio e il Pride, e su che cosa possiamo fare meglio.
Per la comunità LGBTQIA+ il Pride è strettamente connesso alla protesta, al dissenso, alla rabbia positiva ed alla rivendicazione di visibilità e diritti. Il Pride è nato come rivolta contro la violenza e i soprusi della polizia da parte di drag queen, sex workers, di donne transessuali, di persone nere e latine, froci e frocie e di tutte le individualità abbandonate dal sistema. Connotare il Pride in questo modo, però, è stato col tempo sempre più difficile, e le correnti assimilazioniste guidate dal desiderio di essere accettat* dalla maggioranza etero/cis hanno fatto sì che la narrativa principale attorno anche al Pride, ma in generale alle individualità queer, diventasse una narrativa di tolleranza e di cancellazione delle differenze. Discorsi che navigano a metà tra il “born this way” e il desiderio della famiglia nucleare etero/mononormata sono sempre più frequenti all’interno della comunità e creano una spaccatura considerevole con chi, invece, rifiuta questo modello e sceglie – anche come scelta di politica – di decostruirlo.
Nessuno vuole affermare che avere desideri vicini al modello di famiglia nucleare mononormata sia antitetico rispetto all’essere membro della comunità LGBTQIA+; ma l’assimilazionismo come unica narrazione per le identità queer e per far ottenere loro rispetto dalla maggioranza non discriminata è ciò contro cui noi ci schieriamo. Per questo pensiamo che il Pride debba tornare ad essere una lotta, ad essere politico e ad essere scomodo. Il Pride non come momento di festa privo di qualsiasi spinta politica ma come momento di dissenso e di visibilità scomoda, fastidiosa, anticapitalista e antirazzista, cringe, trash, extra e favolosa per tutte le dissidenze sessuali del mondo.