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Negli ultimi sette anni, ho sempre vissuto di corsa. Frequentavo l’università lontano da casa, studiavo, lavoravo, facevo corsi, gestivo due-tre progetti extra scolastici, scrivevo e poi avevo gli amici, i morosi, la famiglia da andare a trovare. Ho fatto tutto per bene, tutto nei tempi giusti: laurea triennale, magistrale, un anno all’estero, tesi internazionale, laurea col 110 e lode, stage all’estero, contratto subito dopo la fine dello stage. Andavo a mille. Poi, il progetto per il quale lavoravo non ha ricevuto dei finanziamenti. Di punto in bianco, mi sono ritrovata di nuovo a casa, in Italia, senza lavoro e senza prospettive di ripartire. Mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a cercare lavoro… ma ho studiato per lavorare nella cultura e questo lavoro, in Italia, non riesco a trovarlo.
Mando curriculum, faccio colloqui, passano i mesi e nessuno mi chiama. Inizio a perdere colpi, faccio fatica ad alzarmi dal letto. Inizio a pensare di aver sbagliato tutto. A gennaio i risparmi finiscono e mi ritrovo ospitata a casa del mio ragazzo, in un piccolo paesino di montagna, a mandare curriculum con sempre meno speranze. A febbraio, arriva il covid.

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Quello che mi succede ha un nome: depressione. La mia vita non è mai stata perfetta, ma, di colpo, la mia vita fa schifo. Il mio ragazzo viene licenziato, siamo entrambi bloccati in casa, e io passo i giorni in cui riesco ad alzarmi dal letto a piangere e fissare i muri. Mi sento una pessima morosa, una pessima figlia, una pessima persona. Una buona a niente. Una fallita. Una che non troverà mai un lavoro. Non ho soldi, non ho prospettive, non ho speranze. Non riesco a fare assolutamente nulla, a volte nemmeno dormire e mangiare. Per fortuna, riesco a seguire delle sedute di psicoterapia via Skype. E una mattina mi sveglio con un pensiero nuovo. Non posso più fare quello che facevo prima. Forse non sono più la persona che ero prima. Forse non tornerò mai la persona di prima. Non posso più andare a mille. Penso che l’unico modo che ho per tirarmi fuori, è ricominciare a contare.

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“Oggi farò il letto”. Ancora stesa nel letto, senza alcuna voglia di alzarmi, guardo la parete di fronte a me e penso: “oggi farò il letto”. “A che serve?” chiede la voce nella mia testa che ogni giorno mi ripete che faccio schifo. “Non serve a niente – rispondo – ma io oggi farò il letto. Dovessi metterci tutto il giorno, oggi farò il letto.” Mi aggrappo a questo pensiero con tutte le forze, mi alzo. Il mio ragazzo è già in piedi da ore. Apro la finestra, tiro indietro le coperte, tolgo i cuscini, faccio entrare aria nella stanza. Poi, lentamente, inizio a rifare il letto. Ci impiego un tempo che mi sembra infinito: ogni movimento mi costa tutta la mia forza di volontà e tutte le mie energie. Un paio di volte mi siedo per terra e piango, con in braccio un cuscino. Ma a un certo punto, il letto è fatto: le coperte ben stese e i cuscini a posto. Chiudo la finestra: oggi ho fatto il letto.

1+2
Non riesco a fare il letto ogni giorno. A volte non ce la faccio. Ma ormai riesco a farlo la maggior parte dei giorni. Sulla mia agenda completamente vuota inizio a scrivere in cima a ogni giorno “fare il letto” e ci metto di fianco una V ogni volta che riesco a farlo. Dopo un po’, riesco a fare il letto per una settimana di fila. “E adesso?” penso. Mi guardo allo specchio: occhiaie nere come il carbone, pallidissima, ho perso non so quanti chili. “Adesso, voglio riuscire a fare colazione e prendere le vitamine.”

1+2+3
Fare il letto innesca un cosiddetto “effetto cascata”: cominci con una cosa e poi le altre diventano un po’ più facili. Ci impiego tempo, ma ricomincio a mangiare regolarmente. E prendere le vitamine. Segno anche questo sull’agenda, e piano piano i giorni si riempiono di V. Una mattina mi ritrovo che sono le dieci e ho già fatto il letto e anche la colazione. “E adesso? Cos’altro mi può aiutare?” “Scrivere”. Siamo al numero 3, decido di scrivere tre pagine ogni mattina (possono sembrare tante, ma ho sempre vissuto con una penna in mano: per me scrivere è come respirare e ormai da mesi non scrivevo più). Segno anche questo sull’agenda, prendo il taccuino e la penna e inizio a scrivere la prima riga.

1+2+3+4
La quarantena prosegue, e io continuo a contare. Piano piano aggiungo dei numeri alla mia lista: 4, fare movimento; 5, prendere aria sul balcone; 6, lavare i piatti… Dei giorni non riesco a contare fino a sei. Allora conto fino a tre. O fino a uno. I mesi passano e un giorno arriva un nuovo numero: rispondere a un annuncio di lavoro.

1+2+3+4+…
È fine giugno, ho ricominciato a lavorare: non è il lavoro dei sogni, ma ho ricominciato. Sono in piedi, non vado più a mille, e so che dove sono adesso ci sono arrivata contando. 1+2+3+4+5. Forse non tornerò mai a mille, non so quanto mi ci vorrà per contare così tanto. Forse, tutto sommato, non serve neppure. Sto meglio, sono circondata da persone care e, adesso, riesco a pensare che va bene così. Faccio ancora il letto tutte le mattine.

Nota: in matematica, la somma di tutti i numeri naturali è indicata dal simbolo di sommatoria n, ma viene anche scritta come “1+2+3+4+…”. Tende a infinito.

Silvia Gualtieri

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