Sentiamo la necessità di parlare del concetto di “artivismo” perchè è la pratica che come collettivo più ci rappresenta. Abbiamo iniziato a lavorare a Fra(m)menti con la convinzione che l’arte potesse veicolare messaggi potenti meglio di qualsiasi altra forma di comunicazione, e abbiamo deciso di usare questo strumento per portare avanti la nostra attività politica. Questo articolo potrebbe essere considerato come una sorta di manifesto della nostra attività, basata sull’artivismo come pratica rivoluzionaria, accessibile, creativa, e di resistenza.

Ma di cosa si tratta esattamente?

“Artivismo” è un termine che nasce tra lu artistu cicanu di Los Angeles e messicanu alla fine del ‘900, dall’unione delle parole “arte” e “attivismo”, per indicare la volontà di lottare politicamente attraverso la pratica artistica. 

La scelta di usare l’arte per questo scopo è dettata da diverse caratteristiche che la rendono preferibile ad altri mezzi: una fra tutte, l’accessibilità. Le pratiche artistiche sono più immediate, spesso intuitive, creative, coinvolgenti e di conseguenza meno elitarie di discorsi politico-filosofici che vogliono trasmettere lo stesso messaggio. L’arte politica, inoltre, sfugge alle categorizzazioni classiche: in regimi repressivi le forme d’opposizione che si appoggiano all’arte scivolano spesso tra le maglie di quella rete oppressiva che è la censura; per lo stesso motivo, dove le proteste devono crescere in dimensioni, scopo o violenza per continuare a farsi notare, le pratiche artistiche sovversive colpiscono con la costante novità, evitando il bisogno di una escalation pericolosa che le proteste si portano inevitabilmente dietro.

Le caratteristiche che rendono l’arte un mezzo efficace per esprimere dissenso politico sono molteplici, ma l’artivismo in sé presenta non poche problematiche da tenere presente quando si sceglie di portarlo avanti.

Spesso ci si aspetta da artistu che appartengono a minoranze marginalizzate che facciano attivismo per la loro causa senza ammettere che possano anche non volersene occupare. Siamo profondamente convintu che le persone appartenenti alle minoranze non siano chiamate a fare attivismo se non hanno l’intenzione di farlo in primis, ma è triste vedere come le stesse persone marginalizzate abbiano più trazione mediatica se si occupano di diritti civili, umani, sociali invece che di altro. 

Da questo ci si può spostare verso un’ulteriore riflessione: l’arte deve essere politica per essere arte nel 2020? Lungi da noi definire cosa è arte e cosa non lo è, lasciamo la parola allu filosofu dell’arte e dell’estetica che ne discutono da millenni. È però vero che si sta facendo strada nel mondo dell’arte contemporanea la consapevolezza che l’arte non si possa più occupare soltanto di bellezza e che un lavoro sulla posizione dell’artista rispetto al mondo sia necessario. La Biennale di Venezia, la massima istituzione mondiale di arte contemporanea, nella sua ultima edizione nel 2019 era intitolata May you live in interesting times, espressione inglese tradizionalmente attribuita a Confucio e interpretata come una maledizione: “tempi interessanti” sono così perchè pieni di problemi, mentre sarebbe preferibile vivere tempi “non interessanti”, quindi tranquilli e pacifici. La Biennale stessa ha assunto una posizione rispetto all’andamento politico, sociale, ambientale del mondo chiedendo allu artistu, curatoru e addettu dell’arte ad occuparsi di questo in prima persona. 

L’arte non deve essere politica per essere arte. Nonostante questo sta inevitabilmente diventando sempre più politica.

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