Nella storia dell’arte contemporanea ci sono statu moltu artistu che hanno usato la blackface per la realizzazione delle loro opere, spesso in modo problematico. Non voglio citare artistu che non hanno portato nessun contributo positivo alla conversazione sull’uso della blackface, ma voglio portare visibilità a un’artista di colore originaria dell’India, che ha usato i meccanismi della blackface per portare avanti un messaggio politico.
Si tratta di Baseera Khan, con l’opera Braidrage del 2017.
L’opera è costituita da una performance realizzata dall’artista stessa, usando una parete da arrampicata indoor in cui gli appigli sono modelli in resina ricavati da calchi di parti del corpo dell’artista e a cui sono stati aggiunti altri elementi come catene d’oro cubane, capelli, pezzi di coperte per l’ipotermia. Khan usa questa parete di arrampicata per una performance in cui lei stessa arrampica seguendo una sorta di coreografia. Mani e piedi, coperti di gesso nero, lasciano una traccia sul muro bianco e vanno così a rappresentare in modo simbolico il dipingere di nero la pelle bianca.
Gli appigli in resina, oro, capelli e coperte per l’ipotermia simboleggiano i traumi che le persone di colore devono affrontare per sopravvivere. In particolare i capelli rappresentano lo sfruttamento delle donne indiane per la produzione di parrucche, le coperte rimandano alla condizione di persone africane, mediorientali o sudamericane che spesso fuggono da situazioni difficili e potenzialmente pericolose. I traumi che le persone nere e di colore si trovano a dover subire vengono assorbiti dal corpo e diventano cicatrici indelebili che segnano l’esistenza di chi appartiene a determinate etnie. Nell’opera però queste cicatrici si trasformano in appigli e supporti per aiutare l’artista, un’altra persona di colore, a scalare l’insormontabile parete bianca, le trecce di capelli scurissimi diventano corde per mettere in sicurezza chi cerca di superare l’ostacolo.
Usare la blackface in modo simbolico si contestualizza come espressione da parte di una persona di origine indiana dell’immenso panorama di sofferenza che il colore della pelle apre.
Dunque nell’opera la blackface va a inserirsi in una lunga lista di simboli dell’oppressione (i capelli, le coperte). In questo senso il simbolo viene sublimato, spogliandosi del retaggio discriminatorio, per essere quindi rivendicato con un’accezione positiva: l’artista riscopre se stessa e la categoria marginalizzata da cui proviene.
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