di Mariaeugenia Tortora
In continuità con il progetto Òstrakon che Fra(m)menti sta portando avanti da qualche settimana, mi sembra interessante proporre una riflessione sull’installazione che, ribaltando la narrazione del mito classico, raffigura Medusa mentre tiene in mano la testa appena decapitata di Perseo.
Ma partiamo da quello che è successo: a New York, davanti al tribunale che lo scorso marzo ha condannato l’ex produttore di Hollywood Harvey Weinstein per stupro e aggressione sessuale, è stata eretta una statua in bronzo. L’opera è dell’artista Luciano Garbati e ritrae due famosi personaggi della mitologia: Medusa e Perseo.
Ma perché proprio loro? Facciamo un passo indietro e torniamo in Grecia: quello di Perseo e Medusa è un mito molto antico, già noto ad Omero e ad Esiodo.
Il racconto narra che il re di Argo venne a conoscenza grazie ad un oracolo, che suo nipote lo avrebbe ucciso. Per evitare la profezia, rinchiude la figlia Danae in una stanza sotterranea, ma Zeus invaghito della ragazza, trasformatosi in una pioggia dorata, la violenta.
Danae rimane incinta dallo stupro e poco tempo dopo, nasce Perseo. Il re decide di imprigionare Danae e il bambino in un baule e di gettarlo in mare. Fortunatamente madre e figlio vengono salvati da Zeus e portati su un’isola.
Ma torniamo a Perseo: una volta cresciuto, promette di uccidere Medusa, l’unica mortale tra le tre Gorgoni, ancella di Atena che era stata violentata da Poseidone sull’altare del tempio. Atena, offesa, si vendica non sul dio ma su Medusa, trasformandola in un mostro dai capelli di serpi. In grado di tramutare in pietra chiunque incrociasse il suo sguardo.
Grazie all’aiuto delle Ninfe dello Stige che gli donano dei sandali alati e di Hermes che gli dona una spada e uno scudo forgiati dal dio Efesto in persona, Perseo riesce a uccidere Medusa: come sappiamo, la decapita dopo averla fatta specchiare e quindi pietrificare, attraverso il suo scudo. Si narra che da allora il giovane eroe, utilizzi la testa di Medusa in battaglia, tenendola nascosta nella sua bisaccia e tirandola fuori al momento opportuno, per pietrificare i nemici.
Riportando il mito alla contemporaneità, alla vicenda di New York e di Weinstein, credo che si tratti di una strumentalizzazione in chiave positiva, forte e assolutamente calzante, dell’antichità classica e dei miti.
Luciano Garbati ha letteralmente capovolto il mito: qui è Medusa che ha appena decapitato Perseo e tiene in mano la sua testa, non il contrario.
Medusa, violentata da Poseidone e incolpata, vince su Perseo. Si riscatta e ottiene giustizia. Così come è stato per le vittime di Harvey Weinstein, lo scorso marzo.
Se ci pensiamo, in origine la funzione in primis del mito e del teatro poi, era proprio questa: raccontare storie che facevano parte dell’immaginario comune, del bagaglio culturale di ogni greco, in una prospettiva sociale. Rendendole uno strumento di riflessione collettiva su temi ritenuti di rilievo in quel determinato momento storico.
Quello di New York è uno dei casi in cui veramente il mito fa il suo dovere, tornando alla sua funzione originaria: mostraci come uno specchio, ciò che siamo in quanto esseri umani, offrendoci interpretazioni di ciò che accade, e ci accade, attraverso chiavi di lettura e immagini allegoriche ancora attuali.
Apollodoro, Biblioteca libro secondo, Adelphi Edizioni 2004.
Vernant e Vidal – Naquet, Mito e Tragedia nell’antica Grecia, la tragedia come fenomeno sociale estetico e psicologico, Einaudi editore 1976.
Silvia Morosi, “Medusa con la testa di Perseo” la statua che capovolge il mito greco diventa simbolo del #Metoo, Corriere della Sera – la ventisettesima ora, 16 ottobre 2020.