di Silvia Gualtieri
L’ultimo spot della Germania contro la pandemia è già virale. Invita a diventare tutti degli eroi rimanendo a casa, a salvare il paese dal divano, facendo l’unica cosa possibile: nulla. Ma la pandemia di coronavirus ha già creato legioni di eroi: medici, infermieru, insegnanti, oss, cassieru di supermercato… queste e altre categorie di persone sono state definite angeli ed eroi a mano a mano che la pandemia avanzava e risultava chiaro il loro ruolo nel salvare vite e tirare avanti il paese. Eppure, molte di queste persone hanno affermato che per loro si trattava semplicemente di continuare a fare il proprio lavoro, per quanto le condizioni potessero essere difficili. Di continuare, in qualche modo, ad essere se stessi.
L’eroe pre-pandemia
Nel mito, l’eroe era un semidio: un essere dai caratteri eccezionali, a metà strada tra un essere umano e una divinità. Tipicamente maschio, bello e fisicato, racchiudeva in sé i valori più alti della comunità di cui era espressione. Nella Grecia antica, ad esempio, l’eroe era definito kalós kai agathós, bello e virtuoso, la realizzazione più perfetta degli ideali di bellezza fisica e morale. I Supereroi della Marvel rientrano perfettamente in questo paradigma. Anche nel mondo reale e in tempi più recenti, gli eroi sono sempre stati quelli che facevano qualcosa di eccezionale: a fronte magari di molte persone che non agivano, l’eroe era l’unico a gettarsi in un torrente per salvare un bambino, attaccare il dirottatore di un aereo, buttarsi in mezzo a una rissa per sedarla. Eroe era chi combatteva la forza d’inerzia: la maggioranza non fa nulla, io faccio qualcosa che salva la situazione.
Il covid-19, però, rende quasi impossibile fare qualcosa di straordinario. Non ci si può buttare in mezzo a una rissa e far arrestare il coronavirus. Non si può attaccare il dirottatore con delle forbici da cucito e salvare l’aereo in fiamme che è questo 2020. La maggior parte delle persone non può fare assolutamente nulla di eccezionale o di straordinario. Sarà forse per questo che, insieme al sars-covid, anche il paradigma dell’eroe sta mutando.
L’eroe post-pandemia
Ho letto la lista dei «primi eroi della pandemia» premiati il 20 ottobre dal Presidente Mattarella. A parte i membri di alcuni gruppi di ricerca, sono quasi tutte persone comuni, eroi del piccolo gesto quotidiano: il medico in pensione che torna in corsia, l’infermiera, l’autista dell’ambulanza, la cassiera del supermercato. Leggo l’elenco, su alcune motivazioni un po’ mi commuovo… e mi viene in mente Rodari. Gianni Rodari era maestro nel trovare lo straordinario nella vita comune. Niente grandi eroi, ma piccoli personaggi indimenticabili.
C’era una volta un anziano signore,
che all’ASL donò un respiratore.
Al supermarket una cassiera
regala buoni per fare la spesa.
Le storie di queste persone sembrano uscite da un suo libro di filastrocche. In Rodari non ci sono grandi eroi, grandi avventure, grandi imprese. Rodari racconta di un mondo reale visto attraverso gli occhi della fantasia, di commessi viaggiatori e segretarie che agiscono in mondi straordinari senza discostarsi di un millimetro dalla loro natura umana. Niente grandi eroi, ma eroi del piccolo gesto quotidiano. Lo so, lo so, che tanto è tutta retorica… però un po’ mi consola che nel mondo reale per una volta faccia la differenza anche chi non salva il mondo dagli alieni. Questa pandemia è lunga, logorante, toglie le forze, il lavoro, la salute e la speranza. Sarebbe bello poterci accorgere di quanto coraggio richiede anche solo rimanere sani di mente in queste condizioni, figuriamoci continuare a essere noi stessi e a fare del nostro meglio. È un buon momento per riconoscersi che a volte bisogna essere un po’ eroi anche solo per uscire di casa… o per restarci.
E anch’io, sdraiato qui sul divano,
Col mio far niente ho dato una mano.