di Matilde Cesareo

Per cominciare un discorso sulla decolonizzazione dell’arte contemporanea, è necessario partire dal momento storico che ne segnò l’inizio e che cambiò per sempre la visione della società: la Rivoluzione Francese. La rappresentazione dei corpi neri ha delle caratteristiche da sottolineare rispetto all’arte dalla fine del Settecento all’inizio del Novecento, caratteristiche che condizionano tutta l’arte successiva. Il discorso si concentra in modo specifico sulla Francia perché al tempo era il centro culturale e artistico per eccellenza in Europa (e per tutto il mondo occidentale) e perché era anche il luogo dove la socialità, la politica e l’arte erano più agitate e piene di cambiamenti in atto.

Il background storico

All’epoca della Rivoluzione Francese (1789) la Francia possedeva diverse colonie: la colonia considerata la più ricca del tempo era proprio posseduta dalla Francia ed era quella che oggi corrisponde alla Repubblica Dominicana e Haiti. 

La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, documento redatto proprio a conclusione della Rivoluzione Francese, prevedeva l’abolizione della discriminazione razziale, avvenuta legalmente però solo qualche anno dopo (nel 1792). Due anni dopo venne abolita anche la tratta degli schiavi e la schiavitù nelle colonie, ma durò poco: nel 1802 Napoleone Bonaparte, salito al potere con un colpo di stato nel 1799, ristabilì la schiavitù e la tratta, che rimasero fino al 1815, supportate dagli interessi delle lobby schiaviste. Nel 1804, però, Haiti conquistò l’indipendenza, sbaragliando gli equilibri della politica francese e offrendo sostegno economico e politico ai “rivoluzionari” del tempo. La schiavitù nelle colonie francesi, però, rimase in vigore fino al 1848.

Per dare un contesto rispetto agli altri paesi europei, la Francia fu la prima ad abolire la schiavitù e la tratta, per quanto fosse rimasto poi un tentativo senza conseguenze positive a causa dell’ascesa di Napoleone. Gli altri paesi europei con le colonie abolirono la tratta solo nei primi decenni dell’Ottocento (dalla Danimarca nel 1803 al Portogallo e Spagna nel 1842).  

In Francia esistevano due fazioni distinte rispetto al tema della schiavitù e della discriminazione razziale: nel 1788 era stata fondata La Société des Amis des Noirs (letteralmente, “la società degli amici dei neri”) che, con voce moderata, sosteneva che la schiavitù dovesse essere abolita ma che per arrivarci bisognasse intanto concentrarsi sul limitare la tratta e procedere per gradi (senza essere contrari al possedimento di colonie); parallelamente, esistevano le lobby schiaviste, portatrici della voce di tutti coloro che avevano interessi economici nello sfruttare le colonie il più possibile.

L’arte successiva alla Rivoluzione Francese e la schiavitù

Subito dopo la Rivoluzione Francese le rappresentazioni di persone nere nei dipinti sono pochissime, ma ai tempi la scienza e l’arte concorrevano insieme a costruire l’ideologia prevalente nei popoli: dove frange della scienza cercavano di dimostrare l’inferiorità biologica delle civiltà conquistate, la propaganda artistica seguiva con rappresentazioni denigratorie dei corpi neri. Si discostano però da questa lettura due opere importanti: si tratta di Madeleine di Marie-Guillemine Benoist e La zattera della Medusa di Théodore Géricault. 

Madeleine viene presentato al pubblico dall’artista solo sei anni dopo l’abolizione della schiavitù in Francia, nel 1800. Marie-Guillemine Benoist è una delle poche artiste note di quel periodo, ma di lei sappiamo che era stata allieva di Jacques Louis David, quindi sicuramente non un nome da poco. Il ritratto di Madeleine è realizzato con la figura della donna in una posa regale e con abiti ricercati, dettagli riservati alle dame di una certa ricchezza. Il fatto che una donna nera venga rappresentata così crea non poco disappunto nel resto del mondo artistico francese e sembra un’evidente presa di posizione dell’artista rispetto alle questioni politiche calde del momento. 

Marie-Guillemine Benoist. Ritratto di Madeleine, 1800

Géricault, invece, opera in modo più digeribile dal pubblico e dai suoi pari, collaborando con un modello nero, Joseph, per la composizione de La zattera della Medusa. Il quadro rappresenta una vicenda di cronaca contemporanea all’artista: il capitano della nave Medusa provoca il suo naufragio al largo della Mauritania il 2 luglio 1816, lasciando i pochi sopravvissuti su una zattera di fortuna a morire in mare. Nel riportare la vicenda su tela, Géricault lavora con “le Nègre Joseph”, come è conosciuto al tempo, un ragazzo nero di origini dominicane noto all’artista del circo di Madame Saqui. Joseph è il modello di riferimento per dipingere la figura che nel dipinto sventola la bandiera in segno di speranza verso una lontanissima nave. Géricault era un dichiarato abolizionista della schiavitù e l’intento di indicare un uomo nero come unica speranza di una situazione tragica, in una posizione anche visivamente elevata rispetto agli altri, sulla punta del triangolo strutturale del dipinto, non sono dettagli su cui si può sorvolare.

La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) Théodore Géricault, 1818.

Negli anni successivi, ci sono altri artisti degni di nota che si occupano di abolizionismo in modi diversi. In particolare, citiamo in questa sede tre opere di tre artisti attivi tra il 1830 e il 1860: La Negresse di Jean-Baptiste Carpeaux, La tratta degli schiavi di François-Auguste Biard e La punizione dei quattro paletti di Marcel Verdier.

Quello che hanno in comune questi dipinti sono la vocazione antischiavista che sottostà alla loro creazione e il modo crudo ed esplicitamente negativo di rappresentare la schiavitù. A differenza di Gericault, che esprimeva la sua posizione politica dando significati di speranza, dignità e valore morale a personaggi neri, Carpeaux, Biard e Verdier mostrano gli orrori della schiavitù, il modo violento in cui venivano trattati gli schiavi e l’aspetto inumano della tratta. La tratta degli schiavi di Biard comportò lo scoppio di malumori al momento della sua esposizione al Salon di Parigi nel 1835. Il dipinto è esplicito nella sua rappresentazione della scena, con un uomo in fin di vita al centro del quadro, persone frustate, donne ipersessualizzate e un bambino che tranquillamente guarda la scena. 

Auguste-Francois Biard, Tratta degli schiavi, 1833
Marcel Verdier, La punizione dei quattro paletti, 1843

La punizione dei quattro paletti di Verdier,che a differenza del primo dipinto è stata creata dopo l’abolizione della schiavitù del 1848, ci mostra ancora una scena collettiva in cui un uomo nero nudo, legato a quattro paletti sul terreno, viene punito a frustate da un suo compagno, nella più classica delle soluzioni alla divide et impera di ispirazione romana: come fecero anche i nazisti nei campi di concentramento con i Kapò, mettere a capo di una minoranza oppressa dei membri della stessa minoranza è un metodo efficace per far sì che all’interno della stessa manchino fiducia e aiuto reciproco. A lato della scena, una famiglia bianca osserva cosa sta accadendo, solo l’uomo è riparato dall’ombra. Anche qui, i bambini presenti osservano la scena seduti.

L’ultima opera, La Negresse di Jean-Baptiste Carpeaux, è una scultura nata come preparazione a un lavoro molto più imponente: si tratta della Fontaine de l’Observatoire, una fontana nel Jardin Marco Polo a Parigi. La fontana rappresenta “le quattro parti del mondo” – come viene chiamata l’opera colloquialmente – come figure femminili che sorreggono il globo. Le quattro figure rappresentano l’Africa, l’Asia, l’Europa e l’America, e per ognuna dei esse Carpeaux ha creato degli studi preparatori. La Negresse, anche chiamata “Why born a slave!” è appunto lo studio per l’allegoria dell’Africa, ma l’artista ha colto l’occasione per trasformarla in un’opera politica. La donna rappresentata è stretta in corde che le impediscono di muoversi, e ha in volto un’espressione dolorosamente rassegnata. 

Jean-Baptiste Carpeaux,
La Negresse, 1868

L’idea di esprimere la propria visione antischiavista in modo crudo e violento come in queste opere oggi sarebbe controversa: moltu attivistu preferirebbero mille volte vedere rappresentazioni di empowerment di persone nere (un po’ alla Gericault) invece che vedere ancora e ancora compagni e compagne torturate in schiavitù. Bisogna però chiedersi chi sono i destinatari di queste opere: le persone che potevano vedere opere d’arte nei salon parigini erano certamente uomini bianchi abbienti (a volte accompagnati dalle rispettive consorti, ma non era frequente). A queste persone andava probabilmente ricordato che gli orrori della schiavitù, per quanto lontani e relegati nelle colonie, erano più presenti che mai. Il mettere davanti agli occhi dell’oppressore – che finge di non sapere – le scene terribili che avvenivano oltremare serviva a far sì che non queste non si potessero più ignorare.

Manet e l’Olympia

Nel 1865 avviene nel mondo dell’arte un evento che cambierà l’arte contemporanea per come era conosciuta fino ad allora: Manet presenta al Salon di Parigi l’Olympia

Édouard Manet, Olympia, 1863.

L’Olympia creò uno scandalo mai visto prima tra i critici e gli appassionati del tempo e per molto tempo si è narrato che fosse la nudità esplicita a sconvolgere le persone. Questo è stato facilmente smentito però considerando il fatto che di nudi femminili integrali molto simili a questo ne erano già stati mostrati in più occasioni e non avevano creato tanto scalpore. Il motivo di tanta agitazione lo si trova facilmente nel soggetto rappresentato: la nudità della donna non era giustificata da una scena mitologica o religiosa, ma apparteneva alla quotidianità della prostituzione. Il fatto che la protagonista del quadro sia una prostituta è evidente da molteplici fattori, primo fra tutti il nome, Olympia, che era molto in voga tra le prostitute parigine dell’epoca, e il suo sguardo fiero e diretto, che segue l’osservatore con fermezza, metteva in difficoltà gli ospiti del Salon.
Nel parlare dell’Olympia, però, si dimentica spesso l’altra figura presente nel dipinto: la serva nera che sopraggiunge da sinistra, porgendo alla donna un mazzo di fiori portato da un cliente abituale. La pelle nera che si confonde con lo sfondo, perdendo ogni rilevanza, è stata spesso considerata un accento razzista in quel quadro che per molti ha segnato il vero inizio dell’arte contemporanea. 

Nella mostra Posing Modernity: The Black Model From Manet and Matisse to Today, organizzata dalla Wallach Art Gallery della Columbia University in collaborazione con il Musée d’Orsay, la curatrice e storica dell’arte Denise Murrell ci espone un lato del dipinto molto diverso: in realtà dal vivo lo sfondo è molto distinto dalla pelle della donna nera, dipinto di un vivo verde bosco, le riproduzioni però rendevano i due colori estremamente simili. Inoltre, facendo della ricerca, Murrell ha evidenziato come la modella per quel personaggio del quadro fosse una persona ritratta da Manet in diverse occasioni e fosse considerata dal pittore come non differente dalle altre che componevano il suo intorno. 

Dagli appunti del pittore si scopre che la modella si chiamava Laure, e che era stata ritratta in un dipinto a lei dedicato intitolato La Negresse (1862-63). Nel quadro si vede la donna seduta che guarda l’osservatore con un leggero sorriso in volto. Gli abiti sono ricercati e i gioielli preziosi le incorniciano il volto con eleganza. 
La mostra ha evidenziato come spesso ciò che rende un’opera razzista sono i comportamenti degli storici dell’arte che ignorano le persone nere come se non fossero rilevanti, non ne ricordano il nome, o ne dimenticano i ritratti.
Dopo Posing Modernity, il Musée d’Orsay ha rititolato alcune opere per dare dignità alle persone raffigurate: La Negresse si chiama Portrait of Laure, Olympia si chiama Olympia or Laure

Édouard Manet, La Négresse
(Portrait of Laure), 1862-63.

Durante e dopo Manet

Di esempi di arte dal profondo senso razzista al tempo di Manet ce n’erano comunque molti. Nonostante gli storici dell’arte abbiano fatto la loro parte di danno, è vero che gli artisti non erano certo innocenti.
Non mi piace dare loro più visibilità di quanto già ne abbiano, ma vorrei esaminarne uno per comprendere meglio il contesto in cui si inserisce questa panoramica.

Si tratta di Moorish Bath di Jean-Léon Gérôme (1870). Il dipinto raffigura una donna bianca che si fa lavare in un bagno turco da una donna nera. La donna nera, però, è ritratta in abiti evidentemente dall’ispirazione africana (stereotipata) e il suo corpo muscoloso contrasta fortemente con quello molle e delicato della donna bianca. Questo la fa sembrare “animalesca” e “selvaggia”, com’era usanza appellare le persone nere al tempo. 

Jean-Léon Gérôme, Moorish bath, 1870.
Frédéric Bazille, La Toilette, 1869.

Un altro esempio rilevante è l’artista Frédéric Bazille, che ha decisamente cambiato modo di approcciare le figure nere all’interno dei suoi dipinti da quando Manet ha sbaragliato la critica con l’Olympia. Nel 1869 dipinge La Toilette, un quadro che presenta gli stessi problemi di Moorish Bath di Gérôme: una donna nera il cui ruolo è esclusivamente quello di lavare una donna bianca (questo trend potrebbe aprire anche un interessante discorso sulla dicotomia tra pulizia e sporcizia, la razza pura e la razza contaminata, che però faremo un’altra volta), ritratta con abiti stereotipicamente africani e dai muscoli pronunciati. 

Nel 1870, però, nel voler fare un omaggio a Manet, lo stesso artista ritrae Black Woman with Peonies, un dipinto che cambia la narrazione della sua produzione, pur essendo molto semplice. Vediamo una donna nera che guarda l’osservatore del quadro porgendogli una peonia, con peonie tutt’intorno. 
L’ipotesi che sia un tributo a Manet è data proprio dal fiore scelto, lo stesso fiore presente nell’Olympia e maneggiato da Laure.

Nel 1874, durante la prima mostra impressionista a Parigi, compare un nuovo tributo a Manet: si tratta di Una moderna Olympia di Paul Cézanne. In questo nuovo dipinto, si vede la stessa scena dipinta da Manet: una sex worker accompagnata dalla propria domestica nera. Cézanne però aggiunge una terza figura: si tratta del cliente. Nel dipinto di Manet, il cliente era una presenza invisibile dietro le tende verdi, tradito solo dal mazzo di fiori che veniva porto a Olympia; in quello di Cézanne, invece, è inserito nel dipinto creando uno squilibrio di colori con la sua pesante macchia nera a destra della composizione. In più, il dipinto di Cézanne ha un’aura molto teatrale, data soprattutto dai movimenti della figura nera e dai pesanti tendaggi. La figura nera qui si ispira a un modello già esistente ma ha il ruolo di cambiare l’atmosfera del quadro completamente. 

Paul Cézanne, Una moderna Olympia, 1873-74.

Conclusioni

Ovviamente questa breve panoramica non esaurisce tutte le rappresentazioni di corpi neri dalla Rivoluzione Francese al Novecento, ma dà un’idea piuttosto precisa delle diverse tendenze rispetto a come venivano approcciate etnie non europee nell’arte di quel tempo. 
A questo articolo seguirà una seconda parte, perchè ci sono principalmente tre punti che è importante includere in una trattazione come questa che non hanno trovato spazio qui: in particolare, Matisse e le sue odalische, Gauguin e le ragazze di Tahiti, e l’ambiente del circo e del palcoscenico.

BIBLIOGRAFIA

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Igor E., Confronting the Burden of History: The Black (Female) Body in Art, ConversationX, 2015. http://www.conversationx.com/2015/01/11/confronting-the-burden-of-history-the-black-female-body-in-art/ 

Johanson C., Black Women’s Bodies in Art, Africanah.org, 2019. https://africanah.org/black-womens-bodies-in-art/ 

Murrell D., Curator’s Talk: Posing Modernity, 2019. https://wallach.columbia.edu/events/curators-talk-posing-modernity 

Nespolo U., TUTTE LE SFUMATURE DEL NERO Dalla Rivoluzione francese all’abolizione della schiavitù, fino all’emergere del concetto di negritudine Esotismo e modernità in una nuova iconografia. Una grande mostra al Musée d’Orsay, a Parigi, Il Foglio, 2019. https://www.ilfoglio.it/archivio/2019/06/21/news/tutte-le-sfumature-del-nero-dalla-rivoluzione-francese-all-abolizione-della-schiavitu-fino-all-emergere-del-concetto-di-neg-608514/ 

Smith M., How a Businesswoman Became a Voice for Art’s Black Models, New York Times, 2018. https://www.nytimes.com/2018/12/26/arts/design/posing-modernity-curator-manet-olympia.html 
Thackara T., Rediscovering the Black Muses Erased from Art History, Artsy, 2018. https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-rediscovering-black-muses-erased-art-history

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