E’ iniziata l’estate e non me la sento di mettere i pantaloni corti. Mi guardo allo specchio e vedo la cellulite, i peli e i chili in più dall’inizio del lockdown e penso agli sguardi per strada (di chi poi, esattamente, non so) e non ce la faccio. Il mio pensiero oscilla tra “che schifo che fanno le mie cosce” e “dovrei amare il mio corpo nella sua interezza. Che rottura.”
Fossi nata nel ‘400 mi sarei sicuramente avvicinata di più all’ideale di bellezza del tempo (cari Uffizi, la Venere di Botticelli non era solo bionda con la pelle diafana ma anche una taglia 48). Invece sono qui a coprirmi nel 2020.
Gli ideali di bellezza sono profondamente legati ad epoche storiche e a culture diverse, ogni civiltà si potrebbe definire secondo il suo atteggiamento nei confronti del concetto di bellezza e di come esso viene applicato ai corpi. Eppure, in un mondo segnato indelebilmente dal colonialismo, le impronte di una bellezza rigorosamente bianca e dai tratti occidentali si possono ritrovare in geografie ben lontane dall’Europa o dal Nord-America (un esempio è la crema sbiancante per la pelle della Johnson & Johnson, molto ricercata soprattutto in India e in Medio Oriente, ritirata dal commercio soltanto nelle scorse settimane per via delle diffuse proteste anti-razziste in tutto il mondo). Quanto l’ideale di bellezza sia costruito e fabbricato attraverso bombardamenti costanti di immagini ed esposizioni mediatiche lo sanno ormai in molt*. La bellezza non è soltanto un fattore visivo ma anche una componente essenziale del sistema capitalistico che ne fa un’economia ben precisa:
- rasoi
- cerette
- luce pulsata, laser
- creme anti-cellulite
- creme anti-age
- creme sbiancanti
- tonificanti
- trattamenti drenanti per il corpo
- tatuaggi semipermanenti per sopracciglia, ciglia, labbra
- integratori dimagranti
- barrette alternative ai pasti
- tinte per capelli anti-bianco
- creme abbronzanti
- integratori proteici per la palestra
- prodotti contro la caduta dei capelli
- profumi
Come si può notare, questa parziale lista è padroneggiata da intenti antigrasso, anti-età e soprattutto da un chiara genderizzazione dei prodotti. Non è possibile ignorare il fatto che il sistema capitalista prosperi nel promuovere un ideale di bellezza irraggiungibile, che non ha nulla di “naturale” e che ci viene però proposto come sempre a un passo dalla nostra realtà, ottenibile pagando un tutto sommato piccolo prezzo.
Che le imposizioni degli ideali di bellezza siano rivolte principalmente alle donne è un fattore che ricalca lo stereotipo che l’uomo è mentre la donna appare, dibattito che soltanto poche settimane fa il signore Raffaele Morelli (che non degno del suo titolo professionale per scelta) ha infiammato nuovamente, sostenendo che una donna che non viene desiderata dagli uomini deve preoccuparsi perchè ha perso la sua femminilità e senza femminilità non ha valore.
E’ proprio per combattere persone misogine, omofobe e grassofobiche come Raffaele Morelli che, guardandomi allo specchio, cerco di ripetermi che il mio corpo è bello nella sua interezza, cellulite e peli e pancia e gambe. Me lo ripeto come un mantra anche se non ci credo sempre. La celebrazione indiscriminata di tutti i corpi non come validi ma come belli è problematica: non tutti i corpi nella nostra società occidentale, misogina, abilista, bianca, ed eteronormata sono ritenuti belli. Volendo fare un parallelismo forse azzardato con il movimento Black Lives Matter, come non tutte le vite contano fino a quando anche le vite nere non conteranno, così non tutti i corpi sono belli fino a quando anche i corpi disabili, neri, grassi, pelosi, non-binari, e non conformi in qualsiasi maniera saranno considerati belli. Eppure anche fare un discorso di questo genere è rischioso perché presuppone che si creino degli standard di bellezza anche all’interno delle categorie di corpi non conformi, inserendole in quella macchina-mostro che è il sistema capitalista che divorerebbe anche loro esponendole ad un’economia della bellezza dalla quale in questo momento sono escluse.
L’esistere al di fuori di un sistema è allo stesso tempo terribilmente doloroso e potenzialmente rivoluzionario ed è per questo che il rifiuto della bellezza come categoria può avere un grande valore e una grande potenza. Allo stesso tempo, rifiutare la bellezza ed affermare una neutralità del corpo che prescinde da qualsiasi giudizio estetico è necessariamente in contrasto con un bisogno umano di appagamento e ricerca della sensualità del proprio corpo e del corpo de* altr*. Il rischio, secondo me, è quello di negare la propria corporeità e ricalcare lo stereotipo maschile dell’iper-identificazione dell’essere col pensiero (il cogito ergo sum cartesiano), ideale contro il quale generazioni di femministe e soprattutto di femministe nere hanno lottato, riaffermando un sapere anche corporeo ed esperienziale imprescindibile dal nostro essere.
E’ in questa ambiguità che si inserisce il desiderio di sottrarci alla strumentalizzazione sistemica dei nostri corpi. E forse è proprio in questo atto di disobbedienza nei confronti delle norme sociali che ci schiacciano ogni giorno che può esistere la bellezza.