di Marco Bacchella

Uno dei più grandi problemi dell’antropologia è, a mio avviso, che non ci sono più frasi cool che si possono scrivere per aprire i libri. Come possiamo, noi antropologi di nuova generazione, anche solo presumere di scrivere qualcosa come Odio i viaggi e gli esploratori, ed ecco che mi accingo a raccontare le mie spedizioni? Ci ritroviamo quindi in una situazione assai ardua: come possiamo essere ancora più sgravoni di quel matto che metteva sempre i jeans? Ritengo, a questo punto, che dobbiamo fare finta che non sia successo nulla e utilizzare le citazioni più cazzute per aprire i capitoli senza che queste siano di qualche rilevanza specifica. 

I tropici, per Levì-Strauss, sono tristi per una ragione in particolare: gli indigeni che tanto ha cercato erano molto interessanti, ma lui non aveva abbastanza tempo per concludere un’indagine approfondita riguardo ad essi. O era perché quelli che aveva trovato comunque volevano diventare civilizzati? O perché non erano abbastanza selvaggi? Nel mio caso, i miei tropici sono tristi per due ragioni particolari: innanzitutto, i miei nativi sono sparsi per decine di forum che mi devo annotare in foglietti sempre più sparsi sulla mia scrivania, poi, ovviamente, i miei nativi difficilmente vogliono parlarmi. Poi c’è ovviamente la questione etica che prima o poi dovrei affrontare: se non mi vogliono parlare, posso utilizzare le conversazioni che hanno, anche tra di loro su piazza “pubblica”, per fare ricerca? Non ho una risposta molto saccente da metter qua, a esser sincero. Ci ho ragionato su, e penso che se censuro i dati sensibili questo dovrebbe bastare, no? Sono utenti anonimi di forum sconosciuti e non metto né l’username né l’immagine profilo, quindi dovrebbe essere la cosa giusta da fare, no? 

Gli antropologi, per metodo, rifiutano sia la posizione etnocentrica, sia quella del relativismo culturale. Il primo rifiuto è abbastanza facile da capire: se si partisse da una posizione etnocentrica, si porrebbero dei giudizi morali su ogni singola cosa analizzata e il ché renderebbe difficoltosa e problematica l’analisi successiva all’osservazione. Neanche il relativismo culturale si salva però. Il relativismo culturale soffre di un problema, che è anche il suo assunto iniziale: non si possono porre giudizi morali di alcun tipo poiché fa tutto parte di un’altra cultura rispetto all’osservatore, quindi anche le cose che possiamo ritenere violente o sbagliate godono di un’immunità morale. 

Questa ricerca non è altro che una riflessione un po’ più ampia sulla natura dell’antropologia: sempre nel thread iniziale un tale mi accusa di non star facendo altro che una pagliacciata, in quanto la laurea in antropologia è la più semplice e, non esistendo un albo, il lavoro da me svolto e la mia preparazione sono senza dubbio di scarsa qualità. Al tempo non sapevo che quell’utente era una figura di spicco nell’androsfera italiana, era una figura importante del forum degli incel di forumfree, come detto da un altro utente appena dopo. Ovviamente screditarmi sarebbe utile, credo, avessi compreso minimamente le sue posizioni. In ogni caso, questo tale merita una risposta. 

L’antropologia è un casino. No, dico davvero, è veramente problematica. Letteralmente chiunque può sostenere di essere un antropologo, anche un laureato in filosofia con troppo tempo libero e una propensione per il digital self harm. L’antropologia è giusto un metodo con cui facciamo finta che il relativismo culturale si superi: non serve una laurea, le conoscenze pregresse sono pressoché inutili e molti antropologi del passato volevano semplicemente giustificare il loro razzismo con le loro ricerche. Quindi? Tra le critiche mosse mi si diceva che non si può analizzare una comunità frammentata e non coesa, quindi in quel posto io stavo perdendo tempo. Beh, ma sti grandissimi cazzi, quale comunità è coesa? Ogni società è infinitamente scomponibile e il solo fatto che questi individui stanno condividendo degli spazi, anche se digitali, è di mio interesse. Siamo a quasi cinque mila parole e stiamo analizzando un centinaio di messaggi la cui metà era composta solo da emoji di clown e insulti rivolti ad articolisti e giornalisti. 

Nei giorni successivi alle mie prime visite, intorno ai primi di novembre, quell’utente fu bannato. Non era ben visto all’interno del forum, ed è stato definito megalomane egocentrico, inaffidabile e voltafaccia, questo, presumo, sia per il suo coinvolgimento con altri elementi di spicco della questione maschile citati in precedenza da altri utenti, come Fabrizio Marchi e Davide Stasi. 

Se il primo nome non ha portato risultati degni di nota da una rapida ricerca su Google, il secondo ha riportato immediatamente il blog, chiuso di recente, “stalkersaraitu”, che in splash page recita: L’indagine conoscitiva sulla violenza verso l’uomo. Il sito in questione trasuda di Web 1.0, WordPress non l’hanno visto neanche col binocolo, e si presenta come una lista di articoli dagli argomenti relativamente vasti. Si riporta la notizia che la prima vittima di un’aggressione con l’acido in Italia sia un uomo, si riportano e si interpretano affermazioni del presidente dell’ONU che proverebbero che questa sia in mano alla lobby queer, ci si lamenta della cancel culture e di come un trans verrà messo al posto della statua di Colombo, c’è una copertura anche abbastanza notevole sulle questioni dei padri divorziati e degli affidi. Decido di aprire un paio di articoli, perché le anteprime erano già problematiche, volevo vedere quanto fosse profonda la tana del bianconiglio. 

La soluzione attuale per gay e transessuali è come l’elettroshock, di Giorgio Russo. In questo articolo l’autore si contrappone violentemente alla teoria queer, quella che avrebbe sovvertito un principio valido per secoli separando il concetto di sesso e genere. Il testo di questo articolo riporta il caso del Dr Money, il coniatore dell’espressione identità di genere e protagonista controverso di un’assegnazione di genere che storicamente, è stato un gran casino. Non è stato soltanto questo il gran casino: era una figura controversa già all’epoca, e ora tutt’al più c’è una nota a piè pagina in qualche libro di testo che lo vede come l’ideatore dell’espressione identità di genere. Siccome gli esperimenti di Money fallirono, continua l’autore, è evidente che l’identità di genere è un concetto errato, le transizioni siano per lo più dannose (riporta, a giustificazione, gli alti tassi di suicidio nella comunità di persone T) e in ogni caso è tutto da ricercarsi nell’identità tormentata di persone trans e omosessuali. Sostiene che, visto che i pari diritti per queste macrocategorie di persone sono già stati ottenuti da tempo, il problema potrebbe ricercarsi nella mancanza di empatia che la società ha nei confronti di queste persone, esattamente come altre categorie di persone che non si potrebbero definire normate, come disabili e celibi involontari, ma questi due non sono solitamente soggetto di empatia, sostiene Russo. 

Se non accade, è perché esistono gruppi di interessi ben organizzati e finanziati che, pur fondandosi su una teoria farlocca, riescono a dettare legge, mentre altri o passano in secondo piano (i disabili) o vengono addirittura criminalizzati (i celibi involontari).

Ora, hot take: non ho la più pallida idea di cosa stia dicendo quando parla di teoria queer o teoria gender. Non ne ho proprio idea. O meglio, so dell’esistenza della teoria della performatività di genere elaborata da Judith Butler in Gender Trouble nel 1990, ma questa non ha nulla a che vedere con la teoria di Money. Butler non era l’unica accademica che aveva proposto una revisione della nostra percezione del genere e del sesso, e in realtà scrive dopo Carsten e Strathern, due antropologhe che hanno visto come i ruoli di genere all’interno di molte culture sono puramente performativi, ovvero, sono una performance continua e reiterata nel tempo. Non è quindi il sesso a definire i tuoi ruoli, ma sono i tuoi ruoli a definire il tuo genere. Cosa si ha in mezzo alle gambe conta veramente poco. 

Nell’articolo su Marsha P. Johnson, quello citato in precedenza il cui titolo è Il presente grottesco: un trans al posto di Colombo, sempre di Giorgio Russo, ci sono molti temi e molte dinamiche ritrovabili nell’articolo precedente. Un uso improprio dei pronomi, il riferimento anche esplicito a una determinata lobby queer in grado di governare il mondo, diario di campo, 4 novembre, molte persone nel collettivo darebbero entrambi i reni per cinque minuti di governance globale, il continuo riferimento a questo presente che è fluido, grottesco e misandrico. A questi però se ne aggiunge un altro, un dog-whistle per attivisti suprematisti: invece di utilizzare la sigla LGBTQIA+, l’autore sceglie la più corta e inusuale GLBT. Tutto qui. O meglio, questa roba me la sono segnata sul quaderno in caso la ritrovassi più avanti, ma dentro di me intuisco già cosa significa: nella scala di valori generali del signor Russo, gli uomini gay vengono prima delle altre possibili singolarità, ed è un sentimento che anche alcuni attivisti della comunità LGBT condividono. 

Per trovare il nome di Davide Stasi (ero lì per quello, d’altronde) dovetti leggere un pochetto e spulciare tra una decina di articoli scritti da altre persone. Il signor Stasi si lamenta di cancel culture, di propaganda antimaschile proposta dall’establishment, critica pure il Manifesto di Venezia. Il Manifesto di Venezia è un documento redatto da una commissione dell’ordine dei giornalisti che anche Ylenia ha criticato in questo articolo qui, ma per ragioni ben diverse rispetto a quelle proposte da Stasi. Stasi lo definisce un documento da MinCulPop. Diario di campo, MinCulPop non smetterà mai di farmi ridere. Crea una vera e propria lettera aperta indirizzata alla FNSI in cui, la pars distruens, è, se non altro, interessante. Procede con una lista di domande, che difficilmente vedranno una risposta, che sono, se non altro, legittime. Vi invito a leggerle, e vi invito anche a leggere la conclusione che fa. Per i più pigri: Stasi ritiene che il Manifesto sia uno strumento di violenza premeditata, di terribile discriminazione sessista, di inqualificabile settarismo, giustificabile solamente in un contesto di stato autoritario e totalitario e non in quello di una democrazia occidentale libera ed evoluta.

Mi rimisi, quindi, alla ricerca di Fabrizio Marchi. Un Fabrizio Marchi è nato a Roma negli anni 50, scrive per una piccola casa editrice, un altro Fabrizio Marchi scrive per un quotidiano online di elezioni americane e covid, tanto per cambiare. Poi mi venne un’illuminazione. Invece che andare a cercare su Google quel nome, perché non cercarlo su Youtube? D’altronde, ora è lì che è la gente, il pubblico. Chi li legge più gli articoli? Specialmente quelli sopra le cinque mila parole? 

Primo risultato:

Indubbiamente un primo risultato interessante. In quella diretta, della durata di circa due ore, l’introduzione è curata da Davide Stasi, e in questa introduzione presenta la sua teoria interpretativa della storia europea basandosi sul fatto che le donne avrebbero utilizzato solo ed esclusivamente la bellezza e la seduzione per avere un qualche tipo di vantaggio. Diario di campo, 14 novembre: al minuto 4:30 circa dice che gli antropologi studiano le cose del passato, quando a mala pena sappiamo effettivamente cosa studiamo.

Al minuto cinque viene presentato il nostro protagonista: il professor Fabrizio Marchi, giornalista e direttore de L’inchiesta, il giornale online che avevo visto prima, cofondatore del movimento “Uomini Beta”. Dopo una piccola presentazione del libro di Marchi, Contromano, critica all’ideologia politicamente corretta, il focus del discorso si sposta sulla percezione del potere sessuale delle donne nel vissuto maschile. Il professor Marchi sostiene che la seduzione è uno strumento di dominio e la storia dell’umanità non sarebbe altro che la storia delle relazioni tra i due sessi, e che l’ideologia femminista avrebbe riscritto in modo unilaterale, dipingendo il maschile come oppressore e il femminile come vittima. Il professor Marchi sostiene che la divisione sessuale del lavoro è la dimostrazione effettiva delle condizioni oggettive biologiche differenti tra i due sessi.  

Secondo il professor Marchi il femminismo (anche qui, difficile stabilire quale femminismo) si baserebbe sul presupposto acritico che tutti gli uomini siano oppressori perché uomini in una società patriarcale, se questa narrazione, come la propone il professore, non fosse mantenuta in modo continuativo, allora il femminismo si disferebbe immediatamente. Marchi propone quindi una contronarrazione: le società che si sono susseguite nella storia umana non sono assolutamente state patriarcali perché gli uomini ce l’avevano peggio, portando l’esempio di come gli schiavi maschi di società non meglio specificate avessero una vita media di molto inferiore rispetto alla controparte femminile, portando l’esempio di alcune figure storiche femminili che hanno avuto modo di avere accesso al potere, come Cleopatra. Marchi sostiene di non star creando una lotta tra sessi, al contrario di quanto non faccia il femminismo odierno, che proporrebbe invece un’opposizione violenta sempre e comunque incentrata sul fatto che gli uomini sono oppressori. 

Il video va avanti per ancora un’ora circa in cui i temi trattati sono sovrapponibili a quelli precedentemente ritrovati nel blog di Stasi. È evidente, all’interno di questo discorso che non si ferma in realtà a questo video ma si estende sia al blog stalkersaraitu che ad alcuni thread ritrovabili nei forum degli incel, che ci sia un’idea di controcultura. L’androsfera sta, in un modo o nell’altro, proponendo sistematicamente una controinformazione in risposta all’informazione “ufficiale” che supporterebbe in tutto e per tutto il femminismo. Se alcune volte sono espliciti nel definirsi dei controinformatori, altre volte effettuano dei veri e propri dog whistles, come il chiamare il proprio programma di approfondimento Radio Londra. La controinformazione in risposta alla propaganda fornita dalla dittatura. Quanto è poetico? Bisogna riconoscerglielo.  

L’uploader di quella diretta streaming era La fionda: un nome che avevo già sentito, e più che sentito l’avevo visto. Il blog stalkersaraitu adesso riporta questa dicitura nella splash page:

Diario di campo, 14 novembre: è così che si sentono gli investigatori privati? 

La Fionda si apre con una visione quasi romantica del ruolo che si propone di avere all’interno dell’informazione. 

L’altro versante del vero. Diario di campo, ecc ecc, ‘sti qua saranno misogini ma almeno sono poetici. Gli articoli presenti su questo blog sono molto simili, sia in stile che in temi, a quelli presenti in stalkersaraitu. Un articolo coglie subito la mia attenzione: Kate Millet, il femminismo radicale, scritto da Santiago Gascò Altaba. Finalmente qualcuno mi definiva il femminismo. Il femminismo è, secondo l’autore, diviso in moderato e radicale, e l’unica differenza formale è il metodo applicato: quello radicale ti direbbe le cose in faccia, quello moderato passerebbe per eufemismi. Ci si sofferma sulla figura di Kate Millet, famosa per lo più per la definizione di patriarcato come fenomeno sociale, definita dall’autore come a momenti etero, a momenti lesbica, a momenti bisessuale, come se queste caratteristiche invalidassero in alcun modo il suo pensiero. Sono sempre molto interessanti gli insulti e soprattutto il ragionamento retrostante: perché l’autore ha voluto definire in questo modo Kate Millet come se un orientamento sessuale in continua evoluzione fosse una problematica? L’autore continua, evidenziando alcune affermazioni dell’attivista nei riguardi della libertà sessuale dei bambini, trattando anche queste affermazioni come insulti, levandole dal contesto di un’intervista che Millet ha fatto. L’autore chiede direttamente alla Millet spiegazioni su un punto che nell’androsfera circola molto: se effettivamente esiste un patriarcato, perché le carceri sono piene di uomini? Perché il 99% dei decessi nelle guerre è maschile? Kate Millet, essendo morta nel 2017, non ha risposto.

L’articolo prosegue con alcuni dei punti chiave già trovati in precedenza: il femminismo odierno è una lotta dei sessi e in quanto tale è il vero oppressore. La Fionda è quindi riassumibile come stalkersaraitu2: electric boogaloo. 

È evidente quindi che l’androsfera è effettivamente un mondo veramente complesso, e io, come il signor jeans, ho troppo poco tempo e poche energie per analizzarla tutta. Le tematiche affrontate dalle varie parti mobili sono simili, eppure l’utilizzo delle narrative dalle rime simili è molto differente. Rimane comunque una questione enorme, dai risvolti etici non indifferenti. Questi sono misogini, e alcuni incel in passato hanno trovato all’interno della scientific blackpill le ragioni per giustificare dei crimini. Come posso rimanere in disparte? Cioè, so che devo tenere una distanza etica dall’oggetto di studio, diventare direttamente coinvolto non mi farebbe apparire molto lucido. Ritengo che l’antropologia dovrebbe essere politicamente impegnata e moralmente schierata, perché se mi impegno a osservare e riflettere su un determinato argomento ho un dovere di riportare almeno la sofferenza di questa categoria di persone, ma se questi non vogliono che il loro dolore venga riportato? 

1 comment

  1. Capperi che fiumana di commenti ha raccolto questo articolo in dieci giorni… ma come fate a gestirli tutti?

    P.S.: se volevate un confronto reale bastava scrivermi su Facebook o attraverso il sito de “La Fionda”, invece di fare cherry picking e trarre conclusioni affrettate. Però il pezzo è simpatico, mi ha fatto sorridere. Grazie.

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